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L’emergenza sanitaria dovuta alla pandemia da sarscov2 ha colto la comunità scientifica impreparata di fronte ad un nuovo virus e ad una malattia sconosciuta. In assenza di un unico protocollo terapeutico, molti farmaci sono stati adoperati, ma in seguito anche sostituiti, come conseguenza di nuove evidenze scientifiche che dimostravano un aumento degli effetti avversi rispetto ai benefici.

Diverse classi terapeutiche, come antibiotici, antivirali o alcuni antimalarici sono rientrati nelle possibili terapie e alcuni di questi hanno subito un picco di consumo in un breve arco di tempo, ponendo così un nuovo rischio ambientale derivante dal rilascio di questi farmaci, metabolizzati e poi escreti dai malati, nei #depuratori urbani. Questi impianti, non essendo in grado di rimuovere molecole così complesse, sono diventati una fonte di #inquinamentochimico delle #acquesuperficiali riceventi gli effluenti.
Il lavoro “Suspect screening of wastewaters to trace anti-COVID-19 drugs: Potential adverse effects on aquatic environment”, dopo una raccolta di informazioni sulle possibili terapie, ha previsto uno screening analitico di questi composti in tre depuratori della regione Lombardia campionati nel 2020, in aggiunta ai corpi idrici riceventi gli #scarichi. Oltre a correlare la concentrazione dei farmaci determinati negli ingressi di un depuratore campionato per 9 mesi, con il numero dei casi e dei morti da COVID-19, sono stati indagati i possibili rischi ambientali, come il rischio di #antibioticoresistenza, derivanti dal rilascio di questi farmaci non rimossi nei fiumi riceventi.

Contatti:
Francesca Cappelli – Istituto di Ricerca Sulle Acque, sede di Brugherio (MB) – francesca.cappelli@irsa.cnr.it

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